Per me, che riesco a nominare l'essenza delle cose e non la loro assenza.
Per me, a cui l'orgoglio tappa la bocca e dallo spiraglio entrano spifferi e suoni lontani.
Per me, a cui fa male tutto perché niente diventa innocuo, col tempo.
Per me, per quando mi si spezza il respiro davanti all'Auriga di Delfi, perché quei solchi lungo i corpo di bronzo, e la perfezione delle ciglia, e i ricciolini intorno al viso, e la postura di quegli arti parlano a voce alta con un linguaggio universale.
Per me, che sono un po' triste e non lo dico né lo spiego.
Ecco.
Per me. Che mi smarrisco e mi ritrovo nelle favole che scrivono i due amori della mia vita.
28 settembre, 2009
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